It’s the end of the world as we know it,
And I fill (almost) fine.
Piove da quasi due mesi.
L’acqua si sta portando via tutto: i colori dell’autunno, le ultime foglie di basilico, le mie aspirazioni letterarie, la piccola K. intenta a gattonare, il ritorno a Gujachil di Almedes, le bottiglie di Sagrantino nella dispensa, il lievito madre nel figro, la bandiera della pace nel comodino ikea e una tuba blu nella cappelliera che non ho.
Sto ‘cazzo di Natale torna ad accendersi nelle luminarie del centro, alle nove del mattino. E piove. Quelli della trattoria di Via Poma, che non avevano mai spento le lucine interemmittenti, hanno giocato d’anticipo.
La vecchia del piano terra non c’e’ piu’, i dentisti hanno venduto il laboratorio, quelli del terzo piano se ne vanno. Si sono mollati. L’Inter e’ tornata a perdere, il mio vicino di banco odia tutto il mondo, il diretur cerca un campo da golf al sole in tutto l’emisfero australe, Mater Krugman inizia a chiedere quail sono i nostri pogrammi per Primo Avvento-Peppar Kokur-SantaLucia, il mio dirimpettaio organizza un eli-ski tuor in Canada, io devo ancora andare dal sarto cinese.
Mi abituo lentamente all’assenze. Non sono, invece, ancora in grado di immaginare questo paese senzo il rassicurante governo del Caro Leader.
Non ci riesce neanche il mio partito democratico che, infatti, preferisce un governo di colazione – petit degeneue – piuttosto che rischiare di vincere le elezioni. Quisquiglie.
Ad un certo punto e’ balenata l’idea d’indirre elezioni per il rinnovo di solo una delle camere: tinteggiatura, cambio della carta da parati, rivestire le piastrelle con finto parquet. Una tinta di bianco e via.
Stiamo veramente assistendo alla fine dell’impero del Bunga Bunga?
Io non ci credo, ma se persino l’inquilino del primo piano – quello che la domenica compra Libero e il sabato La Settimana Enigmistica – ha cambiato bandiera, un rischio c’e’.
“Mi sa che mi tocca votare per il culaton terun o per Antonio.” Mi ha detto mentre rovistavo nel sacchetto di plastica vetro e carta per separare la carta dalla plastica e godermi il frastuono del vetro che si spacca.
“Antonio chi?”
“Di Pietro. E se ci fosse il sindaco di Firenze, voterei per quello li.”
“Eh????”
“Eh si, mica posso dare ancora il voto al puttaniere di Arcore.”
Intanto il Nano di Carità è partito per Sidney e si ritrovato a Roncobilaccio, e si è finalmente appurato che nessuno ha piazzato la bomba in piazza della Loggia.
Ah, forse a smesso.